Tra realtà e sogno l’amore per «Gradiva»
Psicoanalisi e letteratura romantica si incontrano felicemente in «Gradiva», in scena stasera e domani alle 21 nel chiostro di S. Matteo, nell’ambito del Festival allestito da Lunaria Teatro. Gradiva, «l’avanzante», è la figura femminile di un bassorilievo pompeiano esposto ai Musei Vaticani, che sfiora appena il suolo con la punta di un piede, come sul punto di librarsi in una danza o di scivolare via dal marmo. La sua grazia calata nella quotidianità e lontana dai canoni della bellezza sovrumana incarnati dalla Venere Capitolina, attrae irresistibilmente il giovane archeologo Norbert Hanold fino a Pompei, nel folle tentativo di evocare lo spirito della ragazza: un sogno gli ha infatti «rivelato» che Gradiva era una giovane Pompeiana morta nell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. E, nell’atmosfera incantata del chiostro, niente di più naturale che appaia veramente il tanto vagheggiato fantasma, nella canicola del mezzogiorno anziché ai cupi rintocchi della mezzanotte. L’adattamento di Daniela Ardini, interpretato da Fabrizio Matteini e Marina Remi, arricchisce di un ulteriore spunto d’interesse la «fantasia pompeiana» scritta nel 1903 da Wilhelm Jensen: il travaglio psichico di Norbert, pericolosamente in bilico tra realtà e sogno, è commentato fuori campo nientemeno che da Sigmund Freud. Nel 1906 infatti Freud esaminò il racconto sotto l’aspetto clinico: «Sogno e delirio provengono dalla stessa fonte, dal rimosso» scrisse il padre della psicoanalisi proprio nel saggio dedicato a Gradiva; e il rimosso, nel caso di Norbert, è il rifiuto della realtà per inseguire l’ideale. Questo saggio segnò l’inizio della critica psicanalitica applicata a letteratura ed arte: ne scaturiranno l’elaborazione del celebre complesso di Edipo e la lettura dell’Amleto shakespeariano come «un Edipo incompiuto», incapace di agire. E, sempre secondo l’analisi freudiana, il Mosè michelangiolesco «non rappresenta il Mosè furioso della tradizione biblica, ma il Mosè eroicamente umano che ha controllato le proprie passioni». Affascinato dalla figura e dall’opera di Leonardo, Freud ne interpretò, in particolare, un sogno infantile, nel quale un nibbio, posatosi sulla culla del piccolo Leonardo, lo colpisce sulla bocca con la coda: un’allusione alla presunta omosessualità dell’artista, mentre la presenza del rapace sarebbe una trasposizione della figura materna. E nella storia di Gradiva viene da chiedersi se Freud, oltre che dalle manifestazioni patologiche di Norbert e dal proprio dichiarato interesse per l’archeologia (egli paragonava la stratificazione di reperti di diverse epoche nei siti archeologici al coacervo di ricordi rimossi dalla mente e riposti nell’inconscio), non sia stato colpito anche dalla modernità della protagonista femminile: Gradiva infatti, per riportare Hanold alla realtà, lo sottopone inconsapevolmente proprio a una terapia di «analisi». Garantiti lieto fine e una garbata comicità, che affiora nella goffaggine di Norbert, nell’isterica caccia alle mosche che gli fanno nugolo intorno e nella sua impagabile caricatura della sdolcinata coppietta tedesca in luna di miele.

Fonte Il Giornale